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Sostenibilità, costo o investimento?
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Pur virtuoso dal punto di vista delle azioni di sostenibilità, il pharma è chiamato a porsi obiettivi ancora più impegnativi e a lavorare sugli aspetti potenzialmente a rischio in termini di reputation.

Il settore farmaceutico impatta per quasi il 5% sulle emissioni globali. Date le caratteristiche di potenza e resilienza e, soprattutto, dato il contesto non entusiasmante, un intervento in termini di riduzione delle emissioni e di utilizzo più efficiente delle risorse è più che possibile: necessario. Lo dice la politica, lo chiede a gran voce la società e lo stabilisce la normativa, che a livello europeo si è occupata in più sedi dell’impatto ambientale delle cure.
Malgrado le comprensibili resistenze legate alla congiuntura inflattiva e ai postumi di una pandemia che ha avuto le ben note ripercussioni drammatiche sull’economia, il costo della sostenibilità deve essere considerato un investimento e le iniziative in questo ambito dovrebbero essere progettate in questa prospettiva.
Una sfida ardua in un’epoca storica abituata a credere solo nei feedback ottenibili interamente e subito. Ma così è: per diverse ragioni, tutte sotto i nostri occhi, gli interventi in sostenibilità (opportunamente declinati e programmati) costituiscono il driver dello sviluppo.

Vista in chiave più globale, la questione non riguarda solo le singole aziende, ma anche gli Stati, e non esclusivamente sotto il profilo dell’ottenimento di soluzioni in grado di migliorare la salute dei cittadini, ma anche in termini di crescita economica. Quale Paese può permettersi di destinare ingenti somme in innovazione tecnologica e infrastrutturale o può definirsi competitivo se appesantito da una spesa sanitaria e sociale insostenibile, legata alle devastazioni climatiche e ambientali e alle disuguaglianze sociali che ne derivano?

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